venerdì, dicembre 30, 2011

Indagine 40814

Il primo romanzo di Luca Valente è un giallo a sfondo storico, e non stupisce, visto il curriculum dell’autore (che prima di questo ha scritto numerosi saggi storici che riguardano la “sua “ Schio, e dintorni, teatro di ricche pagine di guerra e di resistenza).

È curioso conoscere l’autore di un libro, specie quando questo ti attrae fin dalle premesse, e quando, a lettura completata, ne sei completamente conquistata. In realtà la mia conoscenza con Luca, vecchia di almeno dieci anni, è molto superficiale e mi fa pensare a quanto, pur trentenne e laureata (due cose che a parole fanno di te una persona matura) avessi ancora la testa nel sacco. Lavoravamo per una stessa piccola società, con compiti che potevano essere complementari, eppure ci siamo raramente incrociati, più alla macchinetta del caffè che sul lavoro vero e proprio. Magie (storture) dei contratti a progetto, che rendono evanescenti i ruoli e inconsistente il senso di appartenenza ad un gruppo (l’azienda), e magie delle macchinette del caffè, specie se vicino all’uscita per i fumatori, che possono più di ogni seminario di team-building.

Insomma, complice il social network, come ben si conviene ai nostri giorni, vengo a sapere di questo libro, e la simpatia per l’autore mi spinge ad impegnarmi ad andare ad una sua presentazione. Per la quale, addirittura, sono riuscita a schiodarmi da casa la sera della prima del Don Giovanni alla Scala, in diretta (che ho poi recuperato l’indomani – niente paura!). Ma quella sarebbe stata l’ultima occasione per incrociare una presentazione di Indagine 40814.
L’entusiasmo del presentatore della serata, che aveva genuinamente apprezzato l’opera, e la modesta tranquillità di Luca (dissimulava l’emozione? oppure è ormai navigato in queste cose?) hanno reso la serata piacevolissima, interessante e pure divertente.


Andando alle cose serie, il romanzo porta in sé, come naturale, le varie sfaccettature del suo autore. Ma qui viene il bello, perché Luca Valente ha il merito, o la fortuna, di accentrare su di sé il mondo del giornalismo e quello della ricerca storica, per molti versi contrastanti (nei metodi, negli atteggiamenti), e la ricerca spirituale (fino all’esoterismo) che per passione ha approfondito nel tempo. Il tutto si condisce con una notevole vena introspettiva, che gli ha permesso di creare personaggi di grande forza narrativa, entrando nella psicologia di ciascuno con delicatezza e profondità sottile. Sono persone vere, non stereotipi (anche se funzionali al racconto) alle quali il lettore si affeziona in breve tempo, restando letteralmente incollato al libro, che finisce per divorare in poco più di quattro tranche (sacrificando volentieri anche appuntamenti e occasioni sociali, se serve, pur di scoprire come procede la storia).
Se Valente si ispira ai narratori di successo, alla Ken Follett, devo dire che il paragone tiene. E personalmente lo estendo anche a Steig Larsson, che con la sua trilogia di Millennium (ancora una volta avventure di giornalisti?) ha opzionato l’intero tempo libero della mia ultima vacanza estiva.

Indagine 40814 parte da una trama fitta e ricchissima, che porta la vicenda attraverso intrighi, colpi di scena, avventure al limite (i personaggi “normalissimi” in partenza si trovano ad affrontare minacce, rapimenti, fino ad una sorta di discesa agli inferi da cui “tornare a riveder le stelle” in modo modernamente rocambolesco, non scevro da suggestioni da film d’azione), in un crescendo di intensità e di ritmo degli avvenimenti, fino ad uno scioglimento dei misteri (necessario per accompagnare il lettore ad una serena conclusione) e addirittura ad un lieto fine, per nulla stucchevole perché, ancora una volta, vincolato ad un realismo psicologico dei personaggi davvero apprezzabile.

Analizzando il libro, ci si trova giocoforza a pensare ad una gerarchia dei personaggi. Ed ecco che i due protagonisti sono Elena ed Enea. A dire il vero sono tre, con Ettore, che insieme formano la terna degli “omerici”, dati i nomi. Coincidenza (e naturalmente tutto il libro è una dimostrazione della tesi che le coincidenze non esistono, ma hanno un senso che prima o poi arriva a manifestarsi) che ritorna spesso con altre citazioni nel libro, e di cui i protagonisti sono perfettamente consapevoli.
Il romanzo ha una forte componente storica, e per questo lega in modo non lineare, a creare una trama intricata e consistente, ben quattro epoche, distanti tra loro e con fatti apparentemente isolati, per scoprire invece tutte le connessioni tra antico e moderno: si tratta di una spedizione di monaci germanici qualche anno prima del Mille, dei mesi terminali della Seconda Guerra, degli anni del liceo dei protagonisti (che per avventura sono miei coetanei – come pure dell’autore) e del presente, tempo in cui si svolge la vicenda iniziale, e principale, che funge da risoluzione delle tre precedenti.

Il passato che ritorna, con insistenza.
Piacciono da subito i personaggi, ben delineati nel carattere, nella psicologia e nei sentimenti. Quasi stupisce la capacità descrittiva, in particolare, dell’universo femminile, ben compreso nelle sue complessità e rappresentato con grande attenzione alle sfumature. Le donne sono quasi meglio definite degli uomini, forse perché sono personaggi più sfaccettati e meno prevedibili, forse perché l’autore sente la sfida di creare qualcosa così diverso da sé (è difficile non cedere alla tentazione di immaginare un legame tra Valente ed Enea, che peraltro non viene descritto nei dettagli, anche fisici, a differenza di Elena e delle altre figure femminili del romanzo).

Tra i fili rossi del romanzo, una tensione emotiva tra i due, fortunosamente single, sin dal loro primo incontro. Anzi, ri-incontro, dopo un presunto flirt giovanile. Complici le situazioni eccezionali che li uniscono, e li costringono anche ad una convivenza (come nella più romantica fantasia, molto femminile), Elena ed Enea scoprono un sentimento reciproco, fatto di attrazione fisica e mentale.
Non si contano le occasioni sprecate, mancate da Enea che tarda a prendere l’iniziativa esplicitando quello che entrambi desiderano, raggelando diversi slanci di Elena che arriva alla consapevolezza dei propri sentimenti attraverso la gelosia.

Non dimentichiamo che si tratta di un’indagine, di un giallo (con sfumature di noir, qua e là). L’intrigo che si palesa sin dall’inizio del libro va complicandosi man mano che gli investigatori vi si addentrano, in un crescendo di tensione e di colpi di scena. Il mistero da risolvere è molteplice, e appartiene anche alle epoche lontane. Il lettore viene accompagnato verso la profondità (del passato, di fatti oscuri di cui si è quasi persa la memoria), rendendo familiari gli avvenimenti e appassionandolo ad ogni vicenda, fino a quelle dei personaggi “minori”, che tali non sono mai.
La forma di diario, con capitoli brevi scanditi dall’indicazione di luogo e data, favorisce l’orientamento del lettore nel continuo passaggio da un’epoca all’altra, e consente di non perdere mai il filo del discorso.
A completare il quadro di fluidità tra le epoche, una commistione tra razionalità estrema e fede nei segni del soprannaturale, primi tra tutti i sogni, che vengono considerati con serietà come tracce della realtà che esiste, e li attende in qualche luogo, o tempo.

Se siete arrivati a leggere fino a qui, e se vi solletica l’idea di leggere “Indagine 40814”, posso ora anticipare che il colpevole è
Niente paura, lo scoprirete da soli! L’unico rammarico è che il piacere della lettura durerà poco, e resterà il desiderio di un prossimo romanzo di Luca Valente, alla scoperta di nuove avventure che le zone a noi tutti familiari, come Schio o il Tretto, celano in qualche segreta piega del passato, ancora non emersa alla luce.

Le donne giocano con i trucchi

Divertirsi” è la parola d’ordine, quando si tratta di truccarsi. Lo penso da sempre.
Il mio approccio con i cosmetici non riguarda propriamente il make-up.
Il ricordo più antico che ho (a parte il profumo del rossetto della mamma, che oggi non si sente più nei prodotti in vendita. Sarà stato cherosene, forse – erano gli anni ’70 – ma mi piaceva moltissimo) si riferisce ad un compito per “educazione artistica”.
Ero alle scuole medie.
Per il disegno su cartoncino ho usato due vecchi ombretti, verde e azzurro, che sfumavano benissimo! Quella sensazione tattile e olfattiva mi è rimasta, e con essa il piacere di avere a che fare con i cosmetici, di cui valuto la qualità in base alla texture nel momento in cui li tocco per truccarmi, prima ancora che per la resa finale.

Oggi, che son cresciuta e che mi occupo di immagine, non cambia il senso di gioco collegato al trucco.
E KIKO Make up pare saperlo bene.
Il “primo incontro” con questo brand è stato casuale, in un centro commerciale come altri. Mi attirano le luci, l’ordine e lo schieramento della tavolozza di smalti e ombretti. I prezzi bassi mi fanno pensare male, di primo acchito. Poi un’amica mi dice con entusiasmo che sono tutti prodotti italiani. La cosa non aggiunge un gran che alla mia valutazione. In Italia si fanno cose ottime e altre meno, come ovunque. 

Quello che mi conquista invece sono le commesse, chiamiamole così per praticità. Sono giovani (!) ma molto preparate. Hanno il look da make up artist, con il tascone con i pennelli legati alla cintola, come i muratori americani (qui si va avanti a immaginario collettivo), ma dietro questo sta una salda preparazione tecnica. Formazione aziendale? Spero di sì. 
Ottimo approccio al cliente, con simpatia. Danno del “tu” pure a me che potrei essere loro madre, ma non voglio pensarlo e quindi mi gratifica essere trattata alla pari. “Pèrdono” tempo a cercare il colore del fard che ti sta meglio, ti offrono anche un accenno di trucco (per un trucco completo basta prenotare), ti insegnano quale pennello usare. Non spingono forzatamente sulla novità o sul prodotto di punta, propongono al pari le cose in offerta speciale.
Usano loro stesse i prodotti (ti fanno vedere come si potrebbe ottenere risultati meravigliosi con le scatolette che hai lì a disposizione) e ti sanno dire in modo convincente che funzionano, a parte le creme contro la cellulite, dato che il problema non le sfiora neanche negli incubi.
Se recitano, lo fanno benissimo. 
In ogni caso, il “tono di voce” è lo stesso del profilo Fb, ovvero di quello tra pari che si scambiano idee su un prodotto, pur lasciando palese il fatto che loro stanno lì per vendere, non per farti bella e poi … bella ciao!

Entrare in quella che corrisponde alla casa di Barbie per una bambina di 5 anni è meraviglioso (specie quando i 5 anni sono ben distanti) ma richiede qualche attenzione.
Innanzitutto, non andarci con le persone sbagliate. Quelle che ti dicono che stai perdendo tempo. È tempo di svago, certo, non migliora le sorti del mondo ma non per questo deve essere bollato come colpevole.
Regola nr.2: niente fretta, il gioco assorbe l’attenzione e il tempo scorre via.
A meno che non si stia facendo un semplice rifornimento dei prodotti di sempre, e anche così teniamo presente che l’occhio cadrà su una sfumatura nuova, che ti verrà voglia di provare un look diverso, di rivedere i colori dei rossetti che l’altra volta hai lasciato là, e così via.
La compagnia ideale sono una/due amiche, egualmente interessate al gioco, fa lo stesso se sono esperte o neofite delle gioie del make-up.
Il risultato sarà di spirito più leggero (ti stai prendendo una mini-vacanza, tutta per te, in fin dei conti), di liberazione da cliché che ciascuno porta, come una croce (ma chi te l’ha detto che il rossetto rosso o il fard non fanno per te? Prova, e poi vedrai!), divertimento e relax.
Praticamente un toccasana per creatività e buonumore.
E vogliamo chiamarli ancora trucchi?