lunedì, novembre 29, 2010

Come in un film


«E, dimmi, come vi eravate conosciuti?». Mai domanda mi fu più gradita, almeno ora che la vicenda è passata e fa parte in modo irrevocabile dei miei ricordi. Quelli lontani, depurati di ogni sfumatura negativa; ne resta solo il racconto dove trionfano, ipertrofiche, le parti belle, da sogno.
La mia nuova amica era curiosa: una storia con l’ufficiale di Marina. Proprio da romanzo rosa.
«Ah, guarda, è proprio una bella storia!» iniziai, quasi a preparare il pubblico al racconto di un episodio da favola, e decisa a sorvolare sulla fine ingloriosa dell’intera vicenda, alquanto prosaicamente conclusasi con una sorta di fuga verso l’ignoto da parte di uno dei protagonisti.
«Dunque – attaccai - la mia amica faceva la festa di laurea. Io lavoravo a Verona, era una delle prime esperienze in una delle tante agenzie capeggiate da donne isteriche che avrei incontrato nella mia “carriera”; tornavo stanchissima dalla giornata e dal viaggio da pendolare delle Ferrovie. Quella sera non avevo davvero la più pallida intenzione di alzarmi dal divano, per andare ad incastonarmi in un altro, mangiando patatine stantìe, sicura che il livello di mondanità dell’evento tendesse a zero: avrei incontrato le solite conoscenze femminili, per niente glamour; maschi interessanti, manco a pensarci. La mia amica se ne era quasi scusata: il parterre era dei meno attraenti, con nessuna chance di incontri validi. Una prospettiva davvero deprimente. Nella mia testa, rapide, si succedevano riflessioni scoordinate: “devo anche imparare a dire di no, a non sentirmi obbligata da un invito” e subito dopo “la Mau ci resta male, che faccio, boicotto la festa di laurea? Non ne capita un’altra. E se poi manco si sposa (parallelo dato dall’assunto di partenza, quanto mai fallace, che ci si sposa una volta sola), che faccio, mi perdo l’unico evento della sua vita?”, e via così. Alla fine mi alzo, mi trucco, pensando, senza crederci troppo, che almeno così, nella desolazione generale, avrei rappresentato qualcosa di guardabile, e vado.
Le previsioni non erano lontane dalla realtà, se non fosse stato per un clima meraviglioso di festa, di piacere di stare insieme, di sorpresa nel ritrovarsi dopo tanto tempo che mi accolse all’arrivo in una casa che non era quella della Mau, bensì la villetta a schiera confinante.»
«Finalmente sei arrivata! Aspettavo solo te!» mi fece vergognare la mia amica, al settimo cielo per la festa che si era organizzata. «Hai visto, il mio vicino John mi ha offerto di fare la festa a casa sua, tanto lui non c’è mai, la casa è enorme e vuota. Domani gliela ripulisco e non ci penso più.»
«Ti lascia la casa, se ne va lasciando la porta aperta, e tanti saluti? Che strano modo di fare. Molto “cool” si direbbe, e un vero colpo di fortuna!». «No, John non è via, è in taverna con un amico, si fanno qualche birra, poi verranno a salutare. Per loro, gli americani, fare così è normale. Qui di feste se ne fanno molte. Fanno un casino da paura, arrivano decine di persone, credo che non si conoscano ma spargano la voce che c’è la festa. Portano solo birra. Lui viene il giorno prima da mia madre, con un sorriso da qua fin là, anticipa che ci sarà “un po’ di chiasso”, lei si intenerisce a vedere una sorta di texano con gli occhi di ghiaccio, in versione gentile, che potrebbe essere suo figlio, ed è fatta. Quindi stasera la festa è qui!»
«Hai capito, la Mau! – pensai. Dai, buttiamoci sulle patatine. Da lì in poi si avverò quasi tutto: conoscevo metà della gente e l’altra metà non l’ho mai conosciuta. Incontrai con piacere amici di vecchia data che non vedevo da tempo ed era tutto un aggiornarsi sulle novità che, a quell’età, si susseguono veloci: finiti gli studi, uno stage, un incarico in agenzia. Tutto sembrava molto più emozionante di quanto non si rivelò in seguito. Per farla breve, si andò avanti così fino a tardi. Solo allora, che quasi stavo pensando di alzare le tende, si aprì la porta della taverna e lo vidi. Ora non ricordo se rimasi paralizzata, con sguardo ebete fissando il vuoto, o se fulminai la Mau come a dire “scusa, e questo lo tenevi nascosto in cantina?”. Forse entrambe le cose, in una frazione di tempo che parve un secolo. Davvero, una figuraccia da manuale, meravigliosa, di quelle che si fanno a vent’anni e poi si raccontano per i successivi venti. Meno male che anche lui non fu da meno e che non riusciva a staccarmi gli occhi di dosso (benvenuti, naturalmente), come poi mi confessò. Forse nemmeno lui si aspettava che una delle italiane invitate potesse destargli il minimo interesse. Devo dire che è una sensazione impagabile. Avevo pure tutta l’invidia delle mie amiche che si erano accorte del colpo di fulmine e che non mancavano di sottolineare l’impasse con gomitate neanche troppo celate.
Insomma, da lì fino al momento in cui davvero partii alla volta di casa passò ancora molto tempo. Nessuno di noi due voleva cedere all’ovvietà che prima o poi me ne sarei dovuta andare, e gli ultimi, irriducibili, rimasti, tra cui la Mau che si stava sacrificando per la buona causa, mi tennero bordone finchè fu possibile.»
«Che storia incredibile, da film» finalmente la mia amica poteva prendere la parola. Forse stentava a credere che proprio a una come me fosse capitata una cosa del genere.
«Ecco, così ho conosciuto John, con cui ho passato l’estate, il Natale, il capodanno, il mio compleanno, in primavera, e poco più. Ma è ancora il mio ricordo più romantico. Insomma, uno dei miei ricordi più romantici …»
«Come, ce ne saranno mica degli altri? Racconta, dai!»