Non sapevo cosa
aspettarmi dalla serata, che mi era stata proposta come un “evento unico al
mondo, con un’attrice strepitosa”. In mancanza di ulteriori dettagli, la mia
fonte mi dice “devi proprio venire, perché ti piacerà un sacco”.
Ora, o io sono
un’incosciente, che mi butto in avventure di cui non so neanche il titolo, o la
mia fonte ne sa davvero una più del diavolo, o l’apertura e la disponibilità a
farsi toccare anche da cose che normalmente non ci appartengono stavolta è stata
premiata. Alla grande.
Il titolo ce l’aveva, lo
spettacolo, ma nemmeno quello descriveva appieno ciò che ci attendeva nel
cortile del palazzo del centro. Titolo suggestivo - “Bacco e Apollo al museo” –
per la verità, ma non troppo evidenziato tra le informazioni del volantino.
Sottotitolo esaustivo, che però poteva scoraggiare: Opera dimostrativa sulle
tecniche di Commedia dell’Arte… ecc.
Una lezione – spettacolo,
leggo bene solo all’arrivo sul luogo dell’appuntamento. Ma restava forte la
curiosità instillata da quel “ti piacerà moltissimo”. La mia fonte era testata,
che già altre volte mi aveva proposto cose sui
generis, che poi avevo avuto modo di apprezzate.
All’arrivo, la mia fonte
(per prassi non si svela mai. Si verifica, ma non si rivela) aveva gli occhi
che brillavano, come un bambino con in mano la chiave della stanza delle
meraviglie. Le aveva toccate con mano, queste meraviglie, e ora sapeva anche
meglio quanto mi sarebbero piaciute.
Incontro così Eleonora
Fuser. Un nome, nel suo ambiente, una donna con storia e tradizione alle
spalle, anzi dentro di sé, a plasmare ciò che è oggi. Energia pura, compressa e
indirizzata. Occhi roventi, furore che si trattiene e perciò diventa ancor più
potente in ogni sua espressione, anche in quelle più blande, se di blando si può
parlare nel suo caso.
Il primo incontro è con
la sua fisicità. A ben vedere, è quanto accade sempre, tra le persone, ma quando
hai di fronte un attore la cosa assume una valenza diversa. Una fisicità
intensa, potente. Al solo apparire, ti parla di esercizio, disciplina, ricerca,
perfezione, forza, controllo, utilizzo di sé (corpo, voce, mente, spirito, energia)
come strumento. Tutto per la Commedia dell’Arte. un’intensità che ti regala
nella sua dimostrazione, che letteralmente ti investe (chiedetelo a quelli che
hanno sorretto Balanzone quando è inciampato) e ti dà una sferzata di emozioni.
Inizia con la sfida:
“conoscete la commedia dell’arte, no?”. E tutti a pensare “perbacco, certo,
Arlecchino tutto colorato e Pantalone e Balanzone”. E finchè lo pensi, lei “non
quella di Arlecchino tutto colorato, il Balanzone ecc., quella è roba
ottocentesca”. Ottimo, allora è meglio che ce la racconti tu.
E così inizia un
racconto, dottissimo (eh sì hanno ragione i leghisti a voler abolire la
commedia dell’arte perché è uno spettacolo troppo intellettuale) e terrigno insieme.
Un tema colto, di una cultura che è approfondimento di fatti antichi, che son
le fondamenta del nostro essere, come le tradizioni popolari, esplorate
addentrandosi in una notte dei tempi dove spesso è comodo lasciarle stare, per
sostituirle con le tracce che sono riemerse in tempi più recenti. Tradizioni,
modi di essere e di pensare, che è importante scoprire, non per spolverare
l’erudizione ma per comprendere la funzione che hanno nella società, anche oggi.
E niente ha questo ruolo quanto il teatro, che è cultura viva, dialogo.
Tanto per cominciare:
commedia dell’arte. Arte come mestiere, che nasce ufficialmente nel ‘600,
assieme ai caratteri, e si evolve assieme alla società. Fare commedia dell’arte
oggi, o negli anni ’80 (gli anni della riscoperta di questa tradizione)
significa per l’attore impregnarsi di quella cultura, rielaborarla facendola
penetrare nella pelle fino a dare origine ad una personale espressione, in una
forma che deriva da quella antica, anche nella funzione (di critica sociale,
per esempio). Non inganni: un attore che si presenta facendo Arlecchino ha
dedicato tutta la vita alla ricerca, conosce profondamente forme e opere
letterarie antiche, potrebbe parlare come un professore universitario (di letteratura
o di sociologia?) solo che poi ci mette tutto se stesso e diventa egli stesso
Arlecchino: corpo, movenze, voce, parole, paure e gioie che sono anche le
nostre.
Le maschere fanno paura.
Non sono mascheramenti, ma il centro dell’identità che si costruisce attorno al
corpo dell’attore, vero e proprio veicolo. È dalla maschera che nasce il
carattere, le movenze del personaggio, il suo modo di pensare e di conseguenza
di essere. Oddio! E se questo accadesse anche a me, tutti i giorni? Il problema
era un altro, all’inizio. Ovvero essere, diventare il carattere e non
semplicemente mascherarsi per stare dietro un’altra faccia. Però il pensiero
l’ho fatto.
Poi siamo saliti a vedere
il Museo Mondonovo Maschere, quello del maestro Guerrino Lovato. È lui che ha
fatto le maschere per Eyes Wide Shut. Sarà una coincidenza?