lunedì, luglio 16, 2012

Storia e magia della maschera


Non sapevo cosa aspettarmi dalla serata, che mi era stata proposta come un “evento unico al mondo, con un’attrice strepitosa”. In mancanza di ulteriori dettagli, la mia fonte mi dice “devi proprio venire, perché ti piacerà un sacco”.
Ora, o io sono un’incosciente, che mi butto in avventure di cui non so neanche il titolo, o la mia fonte ne sa davvero una più del diavolo, o l’apertura e la disponibilità a farsi toccare anche da cose che normalmente non ci appartengono stavolta è stata premiata. Alla grande.

Il titolo ce l’aveva, lo spettacolo, ma nemmeno quello descriveva appieno ciò che ci attendeva nel cortile del palazzo del centro. Titolo suggestivo - “Bacco e Apollo al museo” – per la verità, ma non troppo evidenziato tra le informazioni del volantino. Sottotitolo esaustivo, che però poteva scoraggiare: Opera dimostrativa sulle tecniche di Commedia dell’Arte… ecc.
Una lezione – spettacolo, leggo bene solo all’arrivo sul luogo dell’appuntamento. Ma restava forte la curiosità instillata da quel “ti piacerà moltissimo”. La mia fonte era testata, che già altre volte mi aveva proposto cose sui generis, che poi avevo avuto modo di apprezzate.

All’arrivo, la mia fonte (per prassi non si svela mai. Si verifica, ma non si rivela) aveva gli occhi che brillavano, come un bambino con in mano la chiave della stanza delle meraviglie. Le aveva toccate con mano, queste meraviglie, e ora sapeva anche meglio quanto mi sarebbero piaciute.
Incontro così Eleonora Fuser. Un nome, nel suo ambiente, una donna con storia e tradizione alle spalle, anzi dentro di sé, a plasmare ciò che è oggi. Energia pura, compressa e indirizzata. Occhi roventi, furore che si trattiene e perciò diventa ancor più potente in ogni sua espressione, anche in quelle più blande, se di blando si può parlare nel suo caso.
Il primo incontro è con la sua fisicità. A ben vedere, è quanto accade sempre, tra le persone, ma quando hai di fronte un attore la cosa assume una valenza diversa. Una fisicità intensa, potente. Al solo apparire, ti parla di esercizio, disciplina, ricerca, perfezione, forza, controllo, utilizzo di sé (corpo, voce, mente, spirito, energia) come strumento. Tutto per la Commedia dell’Arte. un’intensità che ti regala nella sua dimostrazione, che letteralmente ti investe (chiedetelo a quelli che hanno sorretto Balanzone quando è inciampato) e ti dà una sferzata di emozioni.
Inizia con la sfida: “conoscete la commedia dell’arte, no?”. E tutti a pensare “perbacco, certo, Arlecchino tutto colorato e Pantalone e Balanzone”. E finchè lo pensi, lei “non quella di Arlecchino tutto colorato, il Balanzone ecc., quella è roba ottocentesca”. Ottimo, allora è meglio che ce la racconti tu.

E così inizia un racconto, dottissimo (eh sì hanno ragione i leghisti a voler abolire la commedia dell’arte perché è uno spettacolo troppo intellettuale) e terrigno insieme. Un tema colto, di una cultura che è approfondimento di fatti antichi, che son le fondamenta del nostro essere, come le tradizioni popolari, esplorate addentrandosi in una notte dei tempi dove spesso è comodo lasciarle stare, per sostituirle con le tracce che sono riemerse in tempi più recenti. Tradizioni, modi di essere e di pensare, che è importante scoprire, non per spolverare l’erudizione ma per comprendere la funzione che hanno nella società, anche oggi. E niente ha questo ruolo quanto il teatro, che è cultura viva, dialogo.

Tanto per cominciare: commedia dell’arte. Arte come mestiere, che nasce ufficialmente nel ‘600, assieme ai caratteri, e si evolve assieme alla società. Fare commedia dell’arte oggi, o negli anni ’80 (gli anni della riscoperta di questa tradizione) significa per l’attore impregnarsi di quella cultura, rielaborarla facendola penetrare nella pelle fino a dare origine ad una personale espressione, in una forma che deriva da quella antica, anche nella funzione (di critica sociale, per esempio). Non inganni: un attore che si presenta facendo Arlecchino ha dedicato tutta la vita alla ricerca, conosce profondamente forme e opere letterarie antiche, potrebbe parlare come un professore universitario (di letteratura o di sociologia?) solo che poi ci mette tutto se stesso e diventa egli stesso Arlecchino: corpo, movenze, voce, parole, paure e gioie che sono anche le nostre.
Le maschere fanno paura. Non sono mascheramenti, ma il centro dell’identità che si costruisce attorno al corpo dell’attore, vero e proprio veicolo. È dalla maschera che nasce il carattere, le movenze del personaggio, il suo modo di pensare e di conseguenza di essere. Oddio! E se questo accadesse anche a me, tutti i giorni? Il problema era un altro, all’inizio. Ovvero essere, diventare il carattere e non semplicemente mascherarsi per stare dietro un’altra faccia. Però il pensiero l’ho fatto.
Poi siamo saliti a vedere il Museo Mondonovo Maschere, quello del maestro Guerrino Lovato. È lui che ha fatto le maschere per Eyes Wide Shut. Sarà una coincidenza?