lunedì, maggio 10, 2010

Romance - fiori e musica per i ranocchi

L’umore di una donna è come un mazzo di fiori di campo. È bello solo in virtù della varietà, di colori e di forme. Ogni suo punto porta ad immaginare come potrà apparire guardandolo da uno scorcio diverso. Ed è sempre imprevedibile, nuovo, anche a costo di deludere. Niente a che vedere con un regolare bouquet, magari di rose coltivate in serra (un fiore quadrato… mi sembra) per essere tutte uguali e passare un controllo qualità che fa invidia ai transistor.
Così, dopo qualche puntatina verso l’arguzia, dopo battutacce un po’ da scaricatore di porto (che non mancano mai nei pensieri e nelle chiacchiere innocue tra amiche), mi spunta un pensiero dolce. Sdolcinato, direi. Lo dedico a tutti i ranocchi.

Che strano, il pensiero sdolcinato fa capolino qua e là, magari mentre ascolto un pianoforte suonare, poi si assopisce e ritorna nel bel mezzo di una jam session di sassofoni e batteria. Travolgente, rumorosa, e per nulla cullante. E invece, il pensiero arriva. C’era già. Ed è meravigliosamente banale, come banale è ogni amore, quando è talmente vero da non tollerare aggettivi.

Viviamo in mezzo ad una selva di persone che cercano l’altra metà, e più passa il tempo più cercano affannosamente, più scelgono con il metodo di “prova ed errore”, secondo la teoria dei grandi numeri, oppure si convincono (orologio alla mano) di aver trovato la categoria giusta e dentro lì pure la persona che “si adatta” ai propri desideri, come ad una lista della spesa. Desideri che si fanno via via più concreti, misurabili, prosaici, tristemente standard.

Invece, se si ha la buona sorte di fare L’Incontro (come romanticamente si dice), se la tua mezza mela esiste e prima o poi ti casca di fianco (guai a chi adesso si mette a fare il calcolo della probabilità che questo accada, perché mi rovina il momento romantico!), la sensazione che ti invade è del tempo che si ferma. Non conta più quanto hai aspettato, quanto hai sbagliato e sofferto, quanto le ferite siano ancora lì belle fresche, e quanto assurda sia la persona che ti ispira tutto questo. Tutto sparisce, come quando la vista è rapita, sperdendosi in “quegli” occhi, tanto che l’udito si attutisce e suoni e rumori diventano indifferenti. È una sorta di ora zero. Un inizio, come un big bang o come il rigagnolo che diventerà un fiume. Non fa differenza. Hai aspettato un anno, dieci? Non importa. Ora ci sei. È forse quel “qui ed ora” che per noi è tanto difficile sperimentare? Forse sì. Non sei più né bello né brutto, né troppo (giovane, vecchio, alto, basso, ricco, povero, sfigato o alla moda) o troppo poco … semplicemente sei; e vivi appieno il tuo essere. Lo so, i saggi questo lo fanno da soli, senza appigli esteriori. Ma qui stiamo parlando dell’opposto della saggezza. Stiamo parlando dell’innamorarsi, che non è nemmeno l’amore, ma anzi è una fettina infinitesimale dell’esperienza. (Beh… dipende da che punto lo guardi. Infinitesimale!).

Il pensiero sdolcinato termina qui, e mi lascia in attesa di riviverlo nella vita reale, con il sapore della gratitudine per tutto quello che mi ha portato a formularlo. Non so neanche io cos’è: un incontro sul quale ho fantasticato (prima di infrangermi al suolo della realtà), una musica che tocca il cuore o un’altra che scuote le corde più gravi dell’essere. O tutto questo insieme e anche altro, di cui non sono consapevole.
Credevo fosse una mia fantasia, forse mi piccavo dell’invenzione, e invece me l’ha confermato un’amica, proprio poco fa. Lei, dopo molto tempo, ha inaspettatamente trovato l’amore. Forse si dovrebbe dire “riconosciuto” nelle sembianze improbabili di un individuo che, se si dovesse ficcare dentro una categoria, non farebbe voglia neanche nel deserto. Un ranocchio che si è trasformato da sé, giusto in tempo per ricevere il bacio della sua principessa. E a noi non deve riguardare, se non per affacciarci ad un angolo di felicità, che un po’ ci appartiene.

martedì, maggio 04, 2010

L'Intimorito

Se cantate musica del ‘500, se leggete sonetti di quell’epoca, potrebbero esservi familiari titoli come “L’umorista” o “L’invaghito”, e testi come “Oh che diletto mi riempi il petto” oppure “Maledetto sia l’aspetto…”.
Piccole perle che fanno invidia in un mondo di mezze misure, di bon ton, di equilibri sempre intatti. Invece quanto belli sono i barocchi improperi! Mi hai pestato un piede? Grido “Ahi ahi ahi” con tutto il fiato che ho, e ti mando pure dove devi andare, distratto e somaro che non sei altro! Osi non apprezzare i miei favori? Ti mando direttamente al diavolo, non senza prima una minaccia di avvertimento.
Insomma, espressioni a tinte forti, quelle che servono almeno per un attimo, perché sono la sola verità, che nasce ed esce direttamente dalla pancia.
Poi, solo dopo, possiamo stemperare i toni, comprendere, prendere le distanze… insomma, farcene una ragione e continuare a sorridere, dissimulando indifferenza e una certa signorilità.
Riprendendo questo antico costume, arriviamo ad una nuova categoria. Dopo l’Invaghito, ultimamente “una mia amica” (si dice sempre così, per stare sul vago e in modo che non si capisca che capita pure a me, o a qualcuno che potrebbe leggermi) ha individuato la tipologia dell’Intimorito. Leggi alla voce: “ha i suoi buoni motivi, chissà che madre ha avuto, sarà stato scottato (solo lui!), le donne forti lo spaventano, forse non immagina che io abbia una simpatia per lui….”.
E chi più ne ha più ne metta (donne, fatevi avanti, che di scuse da inventare e pure regalare agli intimoriti ne avrete una più del diavolo). E tutte lì a pensare come fare a fargli passare le paure: abbasso le pretese, mi faccio le codine così sembro stupida, elimino i tacchi e giro “in sata” per togliermi 5 cm di altezza in modo che lui (nano) possa comunque svettare, e via così.
Arriva però un giorno in cui non se ne può più, persino la mia amica. Il giorno in cui qualcuno ti sibila in un orecchio che qualunque sia il problema, se si vuole si supera (compresa la mamma invadente, la ex onnipresente e la depressione sempre in agguato – e tralasciamo di considerare il potere seduttivo di un soggetto così…) . E’ il giorno in cui la mia amica esclama: “Non sarà un altro Intimorito!”, decide di non curarsi di lui, guarda (non troppo, se no si commuove) e passa. Passa oltre, sui suoi tacchi 7 (almeno), ancheggiando il giusto, e va verso un nuovo incontro, senza timori.
E speriamo anche senza intimoriti.